Partiamo dai numeri.
Sono 12.000 i container persi in mare, si avete letto bene 12.000 container.
Nel marzo 2014 l’Office of National Marine Sanctuaries, un dipartimento del NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration), ha pubblicato un rapporto sui container persi in tutti i mari del mondo.
Secondo il rapporto questo metodo di trasporto delle merci era cresciuto di otto volte nei precedenti 30 anni.
Ad oggi, i container che viaggiano su navi cargo sono circa 200 milioni ogni anno.
Proprio mentre leggiamo questa frase, ci sono dai 5 ai 6 milioni di container in viaggio sugli oceani del mondo. In media, ogni ora uno di questi container scivola dalle navi merci su cui è trasportato: si stima che le perdite in mare ammontino a 1.000/1.500 “pezzi” all’anno.
Questo perché – mentre il mercato è così tanto cresciuto – i protocolli di sicurezza e i metodi di fissaggio non si sono evoluti altrettanto. Le ragioni sono il maltempo, i sistemi di fissaggio, appunto, inadeguati o difettosi, errori (più o meno in malafede) di calcolo del peso quando una nave viene caricata.
È facile comprendere come questi enormi contenitori, e la merce che contengono, depositati sui nostri fondali marini, siano un’ulteriore fonte di inquinamento per le acque del nostro pianeta.
Quello che è più difficile immaginare come conseguenza di questi incidenti è che, a seconda che siano pieni o vuoti e dalla natura stessa del carico (che potrebbe impedire all’aria di uscire e all’acqua di entrare funzionando da riserva di galleggiamento) i container dispersi possono galleggiare sul pelo dell’acqua, anche per settimane o mesi prima di affondare.
Questo ovviamente rappresenta un pericolo di impatto per tutte le imbarcazioni che dovessero trovare uno di questi container galleggianti sulla propria rotta, ma dall’altra parte presenta una possibilità di recupero del container a spese più contenute per tutto il tempo di permanenza dello stesso sulla superficie del mare.
Le operazioni di recupero, però, non vengono quasi mai effettuate, perché nella maggior parte dei casi il salvataggio non sarebbe redditizio. Recuperarli richiederebbe un grande sforzo senza alcuna garanzia del valore residuo del contenuto (che molto probabilmente si sarà danneggiato a causa dell’acqua infiltrata).
Ma cosa succede se uno dei container dispersi contiene merce pericolosa ai fini del trasporto?
Ad esempio, liquidi corrosivi o materie tossiche? Ovviamente le operazioni di recupero sarebbero necessarie e bisognerebbe agire in rapidità per evitare disastri ecologici.
I container contenenti merci appartenenti a una delle 9 classi di pericolo classificate come tali dai regolamenti di riferimento per il trasporto via mare (IMDG) devono infatti essere debitamente segnalati con le relative placche e marchi che segnalino in modo chiaro ed evidente la natura del pericolo.
Le placche e i marchi sono adesivi (per il 99,8% dei casi), e devono essere resistenti ad un’immersione marina di 3 mesi proprio su richiesta del codice IMDG, al capitolo 5.3.1.1.1.2. Al termine di questo articolo, più che mai, si capisce il perché di questa richiesta/imposizione. Se il container si ritrovasse a galleggiare in mare aperto e dopo poco tempo “perdesse” le sue segnalazioni di pericolo, non sarebbe possibile gestire il recupero e lo smaltimento della merce contenuta in maniera adeguata. Per questo i fornitori di questi prodotti devono essere in grado di dichiararvi questa conformità, ora sappiamo il perché.
Quindi: per i nostri mari, per l’ambiente, e per la sicurezza di tutti, non comprate placche e marchi “qualunque” per la segnalazione dei vostri container contenenti merci pericolose. Affidatevi solo a produttori e fornitori che dichiarino di attenersi ai regolamenti di riferimento per fornirvi la merce di imballaggio e segnalazione desiderata ma soprattutto che sia conforme ai regolamenti per il trasporto di merci pericolose.
SHIP SAFE, THINK SERPAC!