
I primi corrispondono ai rifiuti domestici, ai rifiuti che giacciono sulle strade pubbliche e, infine, agli stralci vegetali delle aree pubbliche o private. I rifiuti speciali, invece, sono tutti quei rifiuti prodotti a seguito di attività commerciali e industriali, i veicoli da rottamare, i rifiuti sanitari, i macchinari obsoleti o deteriorati e, infine, i fanghi prodotti dalla depurazione delle acque.
Sia i rifiuti urbani sia i rifiuti speciali si dividono a propria volta in rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi. Come suggerisce la stessa definizione, i rifiuti non pericolosi sono “innocui”, nella misura in cui non contengono sostanze potenzialmente nocive per l’uomo e per l’ambiente (o contengono in basse quantità). Al contrario, i rifiuti pericolosi, secondo la loro stessa terminologia, sono quei rifiuti che possono avere un impatto negativo e, talvolta, catastrofico, per l’ecosistema, con ripercussioni anche sulla salute umana.
Nel momento in cui si stabilisce che una determinata merce, sostanza o prodotto soddisfa la definizione di rifiuto, è obbligatorio:
- Annotare sul registro dei rifiuti la quantità prodotta entro un massimo di 10 giorni
- Smaltire il rifiuto dai 3 ai 12 mesi (in quest’ultimo caso solo se la quantità è inferiore ai 30 metri cubi, di cui massimo 10 di rifiuti pericolosi).
E ora che abbiamo capito di che si tratta, entriamo più nello specifico, prendendo in esame una sottocategoria particolare dei rifiuti, ossia quelli pericolosi.
I rifiuti pericolosi
Tanto tra i rifiuti urbani quanto tra quelli speciali esistono rifiuti pericolosi. Nel primo caso si tratta, ad esempio, delle pile alcaline o dei medicinali scaduti, che contengono sostanze cosiddette “pericolose”; nel secondo, dei rifiuti derivanti dalle attività produttive, dalla ricerca medica e veterinaria fino alla raffinazione del petrolio o alla produzione conciaria e tessile.
Secondo la legge, sono da considerarsi pericolosi i rifiuti che presentano una o più caratteristiche elencate nel Regolamento UE 1357/2014 e che sono identificati con il simbolo (*) successivo al codice C.E.R. A proposito di quest’ultimo, è bene specificare di cosa si tratta: la sigla C.E.R, infatti, corrisponde all’acronimo Codice Europeo Rifiuti. Composto da 6 cifre, di cui la prima coppia definisce l’attività di provenienza, la seconda identifica il singolo processo dell’attività generatrice e la terza identifica il singolo tipo di rifiuto, il codice C.E.R è il principale strumento di classificazione dei rifiuti. In altre parole, il linguaggio universale per standardizzare i rifiuti e, quindi, per poterli gestire correttamente.
I rifiuti in ADR
L’Accordo Europeo per il trasporto di merci pericolose (ADR) è un documento europeo sottoscritto nel lontano 1957 tra tutti i Paesi dell’ONU, il cui obiettivo è uniformare le norme di sicurezza per il trasporto di merci e sostanze pericolose su strada. I rifiuti in ADR, quindi, sono tutti quei rifiuti (pericolosi e non) che, per le loro caratteristiche vengono classificati pericolosi ai fini del trasporto secondo la normativa ADR.
Il legale rappresentante dell’impresa la cui attività comporta trasporti di merci pericolose per strada, compresi rifiuti assimilabili ADR, oppure operazioni di imballaggio, di carico, di riempimento o di scarico, connesse a tali trasporti, è tenuto, salvo casi particolari, a nominare un consulente (o più) per la sicurezza, il quale, tra le varie funzioni, ha il compito di consigliare e verificare che tutte le procedure riguardanti il trasporto e le operazioni di carico e scarico delle merci pericolose vengano eseguite nel pieno rispetto della normativa vigente. Nel momento in cui verranno offerte al trasporto merci pericolose che devono essere smaltite, nel caso in cui fossero classificate anche come rifiuti pericolosi, sarà necessario integrare l’etichettatura richiesta dall’ADR con il codice C.E.R, l’etichetta R di rifiuto pericoloso ed infine l’etichetta CLP. In caso di rifiuto non pericoloso sarà necessario integrare l’etichettatura ADR solo con il codice C.E.R. È bene ricordare che nel caso di rifiuti pericolosi ai fini del trasporto sarà obbligatorio adempiere anche a tutte le richieste circa l’imballaggio corretto.
Come abbiamo visto, i rifiuti non sono tutti uguali e quelli classificati in base al codice C.E.R come non pericolosi possono comunque rientrare nella categoria dei rifiuti in ADR. L’importante, come sempre, è che il personale che opera nella filiera riceva un’adeguata formazione per assolvere al meglio al proprio compito.